Un Esercizio di Perfezione
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Non so agli altri, ma a me è stato quasi sempre sufficiente limitarmi ad osservare una persona per intuire se i nostri rispettivi mondi dimorassero nella stessa galassia o addirittura coincidessero.
E addirittura a volte mi basta anche un solo sguardo per capire “il mondo che una persona si porta appresso” e decidere se è il caso o no di affiancarlo al mio, o, perché no?, di far sì che si intersechi con il mio fino a compenetrarsi totalmente con esso per dar origine addirittura ad un nuovo mondo: quello che può aver luogo solo quando nasce una Grande Amicizia o, soprattutto, un Grande Amore.
Ed ora dirò qualcosa che pochi, credo, avrebbero il coraggio di ammettere fino in fondo, perchè pare non sia bene far proprio il seguente ordine di idee.
È difficile che io inizi a parlare con una persona o a scrivermi con lei per “conoscerla meglio”. Mi interessano più le persone in quanto esseri contraddistinti da una peculiarità magari anche indefinibile ma che li rende Unici e pieni di Fascino ai miei occhi, che le loro idee.
Nel momento in cui mi avvicino ad una persona e le do confidenza lo faccio unicamente perché intendo conquistarla e diventare in qualche modo, nel mio piccolo, artefice del suo destino.
Nel caso delle donne è ancora più ampio il discorso, in quanto alcune di loro le vedo come delle vere e proprie Opere d’Arte in cammino, o in movimento che dir si voglia, e mi riesce difficile se non addirittura impossibile immaginare che inaugurando un discorso con loro possano dirmi qualcosa che mi induca a ritornare sulla decisione da me antecedentemente presa di sedurle.
Forse sto estremizzando e, direi, esasperando un po’ troppo i termini della questione.
Non vorrei passare per uno che con le donne, diciamo, “ci prova” a priori.
Pur riconoscendo che ciò non sia del tutto lontano dalla verità.
Sicuramente non ho problemi ad ammettere che mi capita spesso di trovare donne interessanti – anche perché sono in numero molto maggiore degli uomini interessanti, anche a quanto dicono le stesse donne – che io, sia chiaro, non è che corteggio nel senso più convenzionale del termine.
Diciamo che, anche se solo per una frazione infinitesimale di secondo, mi piace lasciar credere alla donna in questione che ho pensato a “quella possibilità” tra me e lei – e ciò indipendentemente dal fatto se la donna in questione è attualmente libera o invece fa coppia con qualcuno.
Il risultato è che molte ne restano lusingate al punto tale da affezionarsi irrimediabilmente a me.
Anche perché si rendono conto che non oltrepasso mai la soglia oltre la quale dal piacere, in fondo, galante di far sentire una donna desiderata, dovrei passare ai cosiddetti “fatti”, non dico irrimediabilmente, ma nella stragrande maggioranza dei casi, volgari, impoetici ed ineleganti.
Il momento di massimo piacere per un Don Giovanni è quello nel quale vede la donna con la quale si è appena intrattenuto far ritorno dal suo uomo ed accorgersi da alcuni segnali che ella [le] lancia inequivocabilmente – e che egli è abile più d’ogni altro nel riuscire a cogliere – che ella non ha più alcuna voglia di farlo in quanto avrebbe preferito restare ancora in sua compagnia.
Potrebbe interrompersi lì la sua azione ed accontentarsi dell’obiettivo raggiunto. Ma egli è un uomo, e come tutti gli uomini, è alla continua ricerca della propria infelicità (!). Solo per questa ragione torna a cercarla e dalla pura teoria tenta di passare alla venale pratica.
Nel momento in cui sopraggiungeranno le rogne, i guai, le complicazioni e l’inevitabile pentimento, ripenserà a quel momento nel quale aveva veduto la sua potenziale conquista allontanarsi da lui pur non avendone nessuna voglia, e si dirà: “ma chi me lo ha fatto fare di insistere con questa tipa?!”
E da quel momento cercherà solo di tirarsi fuori al più presto da quella storia e di allontanare definitivamente da se quella donna, per partire immediatamente alla conquista di un’altra.
Del resto, è anche il momento nel quale Don Giovanni percepisce il senso più profondo della sua solitudine, e non a caso tenta immediatamente di sottrarsi ad essa nel modo nel quale in assoluto gli riesce meglio di fare, ossia, per l’appunto, volgendo la sua attenzione ad un’altra donna e dirigendo i suoi sforzi al fine di farla sua, determinando una situazione analoga a quella dalla quale si da poco defilato, e cosi all’infinito.
Ma se egli fosse come me, ossia, l’esatto contrario di un Don Giovanni – pur spacciandomi io furbescamente per tale a scopo unicamente propagandistico – ripensando al momento in cui la donna pur allontanandosi da lui le aveva fatto chiaramente intendere che era sua, non potrebbe fare a meno di pensare:
“Ecco, quello si che era stato un momento veramente perfetto.”
Anche se io sono ancora più estremista e, direi, integralista in tal senso, in quanto faccio in modo di non ritrovarmi mai e poi mai nella situazione suddetta, che prevengo e, quindi, di norma evito.
Ed il momento nel quale formulo il pensiero a cui egli approda col senno di poi è esattamente quello nel quale saggiamente andrebbe formulato, ossia, quello che ho definito di massimo piacere descritto all’inizio di questa breve disquisizione sul dongiovannismo: quello in cui capisci che da quel momento in poi ciò che è nato tra te e quella persona può soltanto degenerare in qualcosa di meno puro e soprattutto perfetto.
Di primo acchito comprendo benissimo che possa sembrare sfiori l’assurdo la conclusione alla quale sono giunto, ma sono anche consapevole che sto dicendo qualcosa che, in fondo – anche solo per una frazione infinitesimale di secondo – percepiscono tutti – intendo sia donne che uomini, estendendo il discorso alle cosiddette Femmes Fatales oltre che ai Don Giovanni – ma che forse non avrebbero mai il coraggio di ammettere fino in fondo, semplicemente perché l’Assoluto spaventa tutti.
Ma adesso, solo apparentemente, sposto il mio ragionamento altrove.
Non nego di calcare sempre più la mano più di quanto già non faccia da tantissimo tempo nel dare un immagine di me totalmente agli antipodi dell’immagine dell’uomo che oggi viene visto dalla maggior parte delle donne come degno di considerazione o, in una sola parola, attraente.
Faccio di tutto per discostarmi da questa immagine e coincidere invece con l’Immagine dell’uomo che a mio parere, anche la donna più vuota, stupida e superficiale di questo mondo, segretamente insegue, a volte addirittura senza esserne minimamente consapevole.
Di tanto in tanto ne ha solo una timida avvisaglia, la vedo barcollare e chiedersi “ma che diavolo mi sta accadendo?” – non è casuale il riferimento al maligno! – ma si riprende subito non appena riacquista consapevolezza di quello che la morale, o la moda se preferite, corrente le ha imposto di credere, ed ecco che torna all’istante ad inquadrarmi nel modo in cui mi aveva inquadrato non appena mi aveva a malapena solo intravisto da lontano, e s’era fatta di me una idea ben precisa, che intuisco precisamente limitandomi solo a guardarla negli occhi senza che io mi scomodi a chiederle di illustrarmela.
Ossia, l’idea che io sia qualcuno che è ancora convinto di poter affascinare le donne con l’aria dell’artista bohemien maledetto, buono solo a incantarti con le parole che ti sussurra in un orecchio o che ti scrive in una lettera o in una poesia che allegherà ad un omaggio floreale, o con le note che riesce a tirare fuori da uno strumento musicale, ma, all’atto pratico non è altro che un piantatore di grane, uno che da solo sole, un disperato, un perdigiorno buono a nulla, inaffidabile e, soprattutto, squattrinato – sottolineo squattrinato!
Per fortuna ci sono ancora in giro quelle che amo definire le Ultime Romantiche a farmi ancora sperare che forse, quello che ho davvero da dare alle donne possa ancora trovare qualcuna che riesca non solo ad apprezzarlo, ma ad innamorarsene a tal punto da non riuscire nemmeno più ad immaginare di avere accanto un uomo che non corrisponda esattamente all’Ideale di Uomo che io perseguo – osservandomi dall’esterno con gli occhi delle donne – senza sosta e accanitamente a ‘mane a sera a notte.
E quando riesci a far breccia nel cuore di una delle Ultime Romantiche, non c’è niente che lei possa più fare per tornare sui propri passi e conformarsi nuovamente al pensiero delle sue colleghe donne.
Anche se dubito ci sia una sola donna a questo mondo temporaneamente al riparo dell’Incantesimo che potrebbe farle solo uno degli Ultimi Romantici che sia pronta a riconoscerlo.
Per fortuna, però, ce ne è ancora qualcuna disposta ad assecondare il desiderio di “lanciarsi in una storia” con un uomo dalle caratteristiche – più o meno corrispondenti alla verità – sopra indicate, anche a rischio di ritrovarsi un bel giorno in un mare di guai o a soffrire atrocemente a causa sua e, quindi, costretta a dover pensare tra se e se: “ma chi cavolo me lo ha fatto fare di insistere co ‘sto tipo?!”
Probabilmente, anche quest’ultima non è che una illusione per me.
Ma è una illusione della quale ho bisogno di cibarmi per non rassegnarmi definitivamente al fatto che io sia un uomo d’altri tempi, talmente d’altri tempi da non aver motivo per esser presente in nessun contesto di quelli attuali nella speranza che anche una sola donna possa apprezzare il mio valore.
Io ogni qual volta entro in un pub, in un locale notturno, o anche in un centro commerciale o in qualsiasi altro luogo affollato di gente quale può essere una via del centro cittadino devo credere che è lì presente almeno una ragazza che anche solo intravedendomi da lontano si chieda:
“Ma da dove cavolo è uscito sto tipo?”.
E da quel momento, che ella sia in compagnia del suo uomo o meno, arsa all’istante dal desiderio, debba pensare che sarebbe disposta a fuggire con me da qualche parte anche solo per un’avventura di una notte in qualsiasi momento le offrirei l’occasione per farlo, o quel giorno, o quella sera, o quella notte stessa.
Ha scritto Coleridge…
Ciò che l’uomo desidera è la donna.
Ciò che la donna desidera è raramente qualcosa
di diverso dell’essere desiderata dall’uomo.
È questo l’equivoco sul quale si fondano da sempre la gran parte dei malintesi tra gli uomini e le donne, che fa si che le une considerino fondamentalmente gli altri degli stronzi maschilisti, e che essi a loro volta le considerino delle puttane che godono più nel non concedersi che nel concedersi.
Eppure sarebbe cosi semplice evitare tali incomprensioni che seminano odio, dolori e rancori inutili.
Basterebbe solo accettare che le cose stanno così e basta.
E mi riferisco soprattutto agli uomini, i quali si rassegnino una volta per tutte che…
La donna è mobile qual piuma al vento
Muta d’accento e di pensier
Ebbene, la maniera che ho trovato per difendermi da questa peculiarità propria delle donne è di assumerla io stesso, e non solo, ma di estremizzarla al punto tale da votarmi da un lato alla castità – questa non ve l’aspettavate e dal Narciso! – e dall’altro a lasciar credere alle donne che dalla mia alcova ci sia un continuo via vai di donne che entrano ed escono, e che chi di esse desideri accedervi debba aspettare il proprio turno.
Non c’è limite a quello che riesco a lasciar immaginare ad una donna sul mio conto semplicemente limitandomi a guardarla dritta fissa negli occhi, e puntualmente, ad abbandonarla nel momento esatto in cui ella non ha il minimo dubbio che io stia per avvicinarmi a lei per compiere il famoso “primo passo”.
Riesco a farle credere che lei potrebbe attendersi di tutto da me in quel momento.
Meno la cosa che poi effettivamente vado a fare: per l’appunto, andar via.
Naturalmente, mi guardo bene dal ripensarci ed agire invece di fuggire in questi casi.
Perché mai dovrei correre questo rischio?
Potrei essere smentito dall’evidenza dei fatti irrimediabilmente volgari!
Ripeto, devo però credere che quel che non accadrà mai possa potenzialmente accadere.
Ne ho bisogno, come dell’aria che respiro.
Nel momento in cui cesserò definitivamente di credere anche questo, temo sinceramente che difficilmente troverò ancora ragioni per abbandonare la mia amatissima tana e diventare “pubblico”.
Narciso
l’Oltre Don Giovanni
l’Ultimo Romantico
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A meno che…
io non punti all’altro Assoluto verso cui sono [in]naturalmente votato
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Anch’io mi provai a parlare d’amore e finii col persuadermi – una tal convinzione, come lei sa, è contagiosa. Finché non diventò la mia amante ed io capii che le letture sentimentali insegnano a parlar d’amore, ma non a farlo. Dopo aver amato un pappagallo, mi trovai ad andare a letto con un serpente. Perciò cercai altrove l’amore promesso dai libri, quello che non avevo mai trovato nella vita.
Però mi mancava l’allenamento. Erano più di vent’anni che amavo esclusivamente me stesso. Come sperare di perdere una tale abitudine? Non la perdetti e rimasi un velleitario della passione. Moltiplicai le promesse. Contrassi amori simultanei come in altri tempi avevo avuto relazioni multiple. E allora fui causa, per gli altri, di più guai che ai tempi della mia bella indifferenza.
Comunque sia, invece di sentirmi esaltato e purificato nell’assoluto della passione, come suol dirsi, aggravai ancor più il peso delle mie colpe e del mio smarrimento. Concepii un tale disgusto dell’amore che per anni, quando mi capitava di sentire La vie en rose o La mort d’amour d’Yseult digrignavo i denti. Allora tentai in certo qual modo di rinunziare alle donne, e di vivere casto. In fin dei conti, doveva bastarmi la loro amicizia. Ma allora tanto valeva rinunziare al gioco. Tolto il desiderio, le donne mi annoiavano oltre ogni misura, e, palesemente, le annoiavo anch’io. Niente gioco, niente teatro, ero senza dubbio nel vero. Ma la verità, caro amico, è noiosa.
Disperando dell’amore e della castità, pensai finalmente che mi restava il piacere, il quale sostituisce benissimo l’amore, soffoca le risate, riconduce il silenzio e, soprattutto, conferisce l’Immortalità.
Raggiunto un certo grado di lucida ebbrezza, a letto, a tarda notte, in mezzo a due sgualdrine, e svuotata d’ogni desiderio, la speranza, vede, non è più tortura, la mente regna sul tempo, il dolore di vivere è passato per sempre. In un certo senso, io ero sempre vissuto nella depravazione, poiché non avevo mai smesso di voler essere Immortale. Non era questo il fondo del mio carattere, ed anche un effetto del grande amore per me stesso di cui le ho parlato? Sì, morivo dalla voglia d’essere Immortale. Mi volevo troppo bene per non desiderare che il prezioso oggetto del mio grande amore non sparisse mai. Visto che, da svegli, e per poco che uno si conosca, non si vedono ragioni valide perché l’Immortalità sia conferita a una scimmia, bisogna pur procurarsi surrogati di codesta immortalità.
Perciò, per desiderio di vita eterna, andavo a letto con le puttane e bevevo per notti intere. Certo, al mattino avevo in bocca il sapore amaro della condizione mortale. Ma, per lunghe ore, mi ero librato in aria, felice. Ogni notte, mi pavoneggiavo al bar, nella luce rossa e nella polvere di quel luogo di delizie, mentendo come un imbonitore e bevendo molto. Aspettavo l’alba, finalmente mi arenavo nel letto sempre sfatto della mia principessa che si concedeva macchinalmente al piacere e poi senza transizione s’addormentava. La luce del giorno veniva piano piano a rischiarare quello sconquasso e io mi levavo immobile nella gloria del mattino.
Alcool e donne mi hanno fornito, diciamo pure, il solo ristoro di cui fossi degno. Non esiti a utilizzare il segreto che le rivelo. Allora vedrà che la depravazione è liberatrice, perché non crea obblighi. Non vi si possiede altri che se stesso, dunque è l’occupazione prediletta dei grandi amatori della propria persona. E una giungla senza passato ne futuro, e soprattutto senza promessa ne sanzione immediata. I luoghi in cui si pratica sono separati dal mondo. Entrandovi, si lascia ogni timore, e ogni speranza. La conversazione non è d’obbligo. Quel che si viene a cercare, lo si può ottenere senza parole e spesso, sì, anche senza denaro. Mi si permetta di rendere omaggio alle donne ignote o dimenticate che allora mi hanno aiutato. Anche oggi, al ricordo che ne ho conservato, si mescola qualcosa che somiglia al rispetto. In ogni caso, usufruivo senza ritegno di quella liberazione.
In quella felice dissipazione la quiete e la liberazione mi sarebbero finalmente state possibili. Ma di nuovo trovai un ostacolo in me stesso. Questa volta fu il fegato, insieme ad una stanchezza così grande che ancora me la porto dietro. Uno gioca a fare l’immortale, e in capo a qualche settimana non sa nemmeno più se potrà strascicarsi fino al giorno dopo.
Albert Camus, La Caduta